Sunday 30 October 2011

ENERGY, SOCIETY AND SUSTAINABILITY

Lettori che non avete niente di meglio da fare,
Come avrete capito dal titolo oggi si parla di energia, società e sostenibilità. Stavo aggiornando il mio curriculum quando ho letto che in realtà avevo sostenuto e passato un corso proprio su questo argomento. Mi sono quindi sentito a pieno titolo una vera autorità in materia e ho deciso di dare una opinione in merito. Grazie per il vostro tempo.
C’era una volta un’isola, in un posto caldo e umido, dove gli uomini vivevano di banane, manghi, papaye e canne da zucchero. Avevano anche animali da fattoria ed erano dei grandi pescatori. Mangiavano quello che producevano, vi sembrerà logico. Nel senso, sei nel mezzo dell’oceano a trentacinque gradi, ad almeno 2 giorni di nave da qualsiasi paese che produca cibo diverso dal tuo, non è che puoi mangiare la fonduta pasteggiando a grolla. Mi sembrerebbe logico insomma. Vado al mare e mangio il pesce, vado in montagna e mangio cacciagione. Vado in Cina e mangio riso, vado in America e mangio da Mc Donald.
E invece non è logico per niente, perché in questa piccola isola calda e umida ci sono cavoli olandesi, patate francesi, vongole del mediterraneo, salmoni della Norvegia, carne di canguro e pasta dall’Italia (ma quella è dappertutto). Non producono né latte né grano, ma a colazione in tutti gli alberghi c’è pane burro e marmellata (la marmellata almeno non è di ciliegie, questo va riconosciuto). Fuori è minimo trenta gradi, ma nei centri commerciali ci vorrebbe il giubbotto. C’è un traffico sembra il deposito di uno sfasciacarrozze tanta è la concentrazione di macchine, che ti viene da chiederti dove cazzo vada tutta questa gente. Il trasporto pubblico italiano a confronto spacca i culi, ma li spacca veramente.
Ma veniamo al dunque.
Chiappetti, ricordati di dire ai tuoi nipoti, quando ti chiederanno perché per andare a scuola devono fare dieci chilometri a piedi tutte le mattine, che la colpa è del tuo amico rosso, che mangiava pane burro e marmellata a colazione, beveva vino del chianti a cena, prendeva la macchina anche per andare al cesso e teneva accesa tutto il giorno l’aria condizionata perché l’umido lo stava uccidendo.

Saturday 1 October 2011

BRACCINO CORTO

Lettori d’oltre oceano,
C’è questo tipo che entra in un locale sulla spiaggia. Il barista lo guarda bene. Il barista è un signore sulla sessantina. Definirlo signore però non rende tanto l’idea. Uno un signore se lo immagina con una camicia e un paio di pantaloni addosso almeno. Una persona almeno un po’ distinta, insomma, uno che potrebbe essere tuo nonno, ma che siccome non lo è lo dovresti chiamare signore. E’ semplice perché si fa fatica a chiamarlo signore. Perché ha i capelli lunghi, la barba lunga, una canottiera grigia o bianca o gialla, non si capisce bene e un paio di bermuda. Ovviamente è scalzo. Questo tipo si diceva entra in questo bar sulla spiaggia. Il bar è decisamente decadente. Tutto in legno, con le travi interne che saranno almeno alla sesta settima mano di smalto bianco. I tavolini sono consumati e le sedie impagliate. In più è in una zona che non riflette l’immaginario collettivo raffigurato nella foto, anzi. Il tipo con la camicia si avvicina al bancone e chiede tre caffè. Uno per lui, e gli altri due per i suoi colleghi. Il barista farfuglia qualcosa in francese credo. Accende la macchinetta che produce dei liquidi strani. Il colore assomiglia a quello del caffè, ma sopra ci galleggia qualcosa di schiumoso ma solido. Il tipo con la camicia lo beve, perché non è uno che si fa scrupoli, ma gli altri due lasciano perdere e si avviano alla macchina. Allora quello con la camicia chiede il conto. Sono 12 euro. La Guadalupe è così, più il posto è malsano e più è un salasso. Una birra in bottiglia 6 euro e un risotto 24. Meno male che paga INSO.